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I Giochi del Raduno 2023 (parte III) Nord Africa 1941

Un grande classico, che negli appuntamenti tra wargamers non manca mai, è il Nord Africa e la griglia di quest’anno, non solo non tradisce questa tradizione, ma ci regala pure un bel confronto tra due titoli creati dallo stesso autore, l’uno a trentadue anni di distanza dall’altro. L’autore in questione è Mark Simonitch e i giochi sono l’ormai mitico The Legend Begins: North Africa, 1940-42, e il recentissimo North Africa ’41.

Al nostro Raduno verranno intavolati entrambi e già pregusto le considerazioni che fioriranno attorno ai tavoli nel corso delle partite…

The Legend Begins vide le stampe nel 1991, pubblicato da Rhino Game Company che ne fece due edizioni. Una terza Deluxe, quella che troveremo a Bracciano, venne pubblicata da Terran Games e, a differenza delle prime due, che coprivano solo il 1941, forniva ulteriori scenari, estendendo il periodo dal 1940 al ’42, comprensivo anche dell’opzione di giocare l’intera campagna.

Con North Africa ’41, appena edito da GMT Games, Simonitch torna alle origini, riportando il gioco al solo ’41, dalla prima offensiva di Rommel di fine marzo, sino alla fine dell’anno. Entrambi i giochi sono operazionali, con le unità a rappresentare battaglioni e reggimenti, ma mentre in The Legend Begins alcune altre unità figurano come divisioni, in North Africa ’41 le vedremo espresse in brigate.

La scala temporale vede per entrambe due settimane per turno, ma in North Africa ’41 ogni turno è ulteriormente suddiviso in due o tre impulsi, ognuno dei quali rappresenta dai 3 ai 7 giorni.

Chiaramente, al di là degli aggiustamenti della scala temporale e del taglio delle unità rappresentate, North Africa ’41 costituisce il frutto di una profonda revisione dell’illustre e premiato predecessore, e non poteva essere altrimenti, viste le tre decadi che dividono le due produzioni. Quindi, pur ripartendo da quel regolamento, l’autore descrive questo lavoro come un autentico rifacimento dell’opera, a partire dalle fonti e dalle mappe, avendo potuto attingere a risorse la cui disponibilità era impensabile trent’anni prima. Sebbene non vi siano stati stravolgimenti, a testimonianza della validità del vecchio titolo, nel nuovo ne sono comunque usciti una mappa e un ordine di battaglia reputati di qualità superiore, maggiormente aderenti alle condizioni da riprodurre. Ad esempio, esaminando le vecchie mappe italiane della Cirenaica, si vedono vaste distese di aree vuote, dove non sono presenti informazioni dettagliate su cosa ci fosse. Così, dato che nessuna delle due parti ha spostato le unità in quelle aree, nel gioco sono state rese quasi ingiocabili.

Anche l’approccio alla revisione del regolamento è stato improntato alla semplificazione e alla pulizia nel flusso di gioco, utilizzando molte delle idee sviluppate in Stalingrado ’43, Olanda ’44 e Salerno ’43. Pertanto il nuovo regolamento risulta inquadrato nel sistema 19XX, con i dovuti distinguo imposti dal contesto rappresentato. Ad esempio non sono previste le ZOC Bond e solo le ZOC delle unità motorizzate fermano il movimento nemico. Inoltre le unità non motorizzate pagano +2 MP per uscire da ciascuna ZOC di quelle motorizzate.

Un accento particolare ovviamente è stato posto sulla logistica, enfatizzandone le enormi difficoltà causate da situazioni al di fuori del controllo dei comandi delle forze sul campo. Vi sono tabelle eventi da cui dipenderà l’arrivo di rinforzi o rifornimenti, a ricreare la perdurante incertezza che, specie nel fronte italo-tedesco, affliggeva ogni pianificazione. Anche il trasporto navale è trattato in modo dettagliato e va gestito con molta attenzione.

In generale l’impressione che dà questo nuovo North Africa ’41 è quella di essere stato particolarmente curato per trasmettere il senso di angoscia e le trepidazioni che accompagnavano la preparazione di un’azione offensiva in quelle difficili circostanze, articolandone nel dettaglio i fattori d’incertezza e andando così ben oltre l’estrazione dei chit d’attivazione di The Legend Begins.

Riguardo agli scenari, The Legend Begins comprende tutta la campagna in Libia ed Egitto, a partire da settembre ’40, con la prima incursione italiana in Egitto, seguita dall’operazione Compass; il successivo ingresso di Rommel e l’operazione Crusader; la risposta di Rommel; Gazala ed infine El Alamein nel 42. North Africa ’41, invece, dell’intera campagna ne ritaglia ciò che avvenne dall’ingresso di Rommel nel marzo del ’41, sino all’operazione Crusader terminata nel dicembre ’41.

Chissà che alla GMT non siano già previste espansioni….

Dunque quest’ultima versione del gioco parte all’indomani della grave disfatta del regio esercito, che nel giro di poco più di tre mesi, si trovò ricacciato fuori dalla Cirenaica e col morale a pezzi, dopo che aveva ottenuto alcuni successi importanti che li avevano condotti il 13 settembre a oltrepassare il confine tra Libia ed Egitto e a stabilire, il 16 settembre 1940, la linea del fronte a Sidi Barrani, in territorio egiziano.

Durante quel periodo le forze di Rommel attraversarono la Cirenaica e raggiunsero la frontiera egiziana. Tuttavia, non riuscì a conquistare il porto critico di Tobruk, difeso dagli ostinati australiani. Con carri armati superiori, dottrina delle armi combinate e cannoni Flak da 88 mm (usati come armi anticarro) le forze dell’Asse respinsero con successo due contrattacchi da est, quelli condotti nelle operazioni Brevity e Battleaxe. Più tardi nel corso dell’anno, prima che Rommel potesse sferrare l’assalto pianificato contro Tobruk, gli Alleati lanciarono l’operazione Crusader e ricacciarono le forze dell’Asse alle loro posizioni di partenza a El Agheila.

Dunque tutto inizia con l’operazione Compass, lanciata dal generale O’ Connor il 9 dicembre 1940. Le forze meccanizzate britanniche della Western Desert Force, costituita dalla mobilissima 7ᵃ Divisione Corazzata, i noti Desert Rats, affiancati da una Divisione anglo-indiana, travolgono lo schieramento italiano così rapidamente, da riprendersi

Sidi Barrani il 12 dicembre, facendo pure 38000 prigionieri; la piazzaforte Bardia il 5 gennaio 1941, conquistata da una appena arrivata Divisione australiana, in sostituzione di quella anglo-indiana, che poco dopo, avanzando lungo il percorso costiero, prese anche Tobruk, dove furono catturati altri 30.000 soldati italiani e 236 cannoni.

Di lì in poi costituirono un’autentica spina nel fianco per tutto il 1941, diventando quasi un ossessione per Rommel, a cui opposero un’ostinata difesa a due assalti e a un prolungato assedio durato tutto l’anno, mantenendo la posizione fino alla fine dell’operazione Crusader, che a quell’assedio pose fine.

Invece la fuga a piedi del generale Bergonzoli dalla caduta piazzaforte di Bardia, riassume bene il quadro della situazione che si stava profilando nelle fila italiane

Persa Tobruk, infatti, gli eventi iniziarono a precipitare. Le ultime difese approntate con il reparto corazzato “Babini” della 10ᵃ Armata, dal generale Graziani, per tenere le posizioni in Cirenaica, caddero dopo una serie di violenti combattimenti iniziati il 24 gennaio, nella famosa battaglia di El Mechili.

Ripiegando verso la costa gli italiani lasciarono scoperta la via del deserto verso il golfo della Sirte, attraverso la quale avanzarono subito con grande rapidità le mobilissime colonne meccanizzate britanniche.

Il 1º febbraio 1941 le residue truppe italiane della 10ª Armata, passate al comando del generale Giuseppe Tellera, iniziarono la ritirata generale lungo la strada costiera e il 3 febbraio 1941 O’Connor dette inizio all’ultima drammatica fase dell’offensiva britannica.

Mentre la Divisione australiana insegue le colonne italiane in ritirata lungo il percorso costiero da Derna e Bengasi verso Agedabia, le forze residue della 7ª Divisione corazzata si lanciano in una corsa attraverso il deserto verso la costa, per tagliare loro la strada. Percorsero 270 km in 36 ore e raggiunsero la litoranea il 5 febbraio 1941, riuscendo così a precedere le colonne italiane, che vistesi tagliata la strada di fuga, il 6 febbraio lanciarono una serie di assalti ai limiti della disperazione, per riuscire ad aprirsi un varco, tutti respinti dai britannici, che tra l’altro venivano rinforzati dall’arrivo di altri reparti. Quest’ultima battaglia a Beda Fomm terminò la ritirata delle truppe italiane che si arresero il 7 febbraio 1941. I britannici catturarono 20.000 prigionieri, il generale Tellera fu ucciso e tre generali furono catturati. L’intera 10ª Armata italiana fu distrutta e i britannici poterono raggiungere El Agheila, in fondo al golfo della Sirte.

Dal 9 dicembre 1940 all’8 febbraio 1941 la Western Desert Force del generale O’Connor, al prezzo di 500 morti, 1.373 feriti e 56 dispersi, aveva catturato 130.000 soldati italiani e distrutto 845 cannoni e 380 carri armati.

Il 21 marzo 1941, con la caduta di Giarabub, ancora ad opera della Divisione australiana, l’Italia perde l’ultimo caposaldo in Cirenaica e con esso tutta la regione.

Quando il generale Erwin Rommel sbarcò in Libia, gli italiani erano in preda al più cupo sconforto. Il generale Graziani, fortemente provato e demoralizzato, era stato sostituito dietro sua stessa richiesta, dal generale Italo Gariboldi; i reparti superstiti erano attestati in Tripolitania, ma, deboli e demoralizzati, apparivano assolutamente non in grado di reggere un’ulteriore spinta britannica sulle loro posizioni e anche gli ufficiali apparivano fortemente pessimisti sulle capacità operative delle unità sotto il loro comando. D’altra parte il DAK (Deutsches Afrikakorps), il Corpo d’Armata al comando di Rommel, era stato appositamente approntato per sostenere le forze italiane ed evitarne la disfatta totale nel teatro nord-africano. Lo componevano due divisioni, una leggera equipaggiata con carri armati, e l’altra corazzata. Anche l’alto comando del Regio Esercito inviò in Nord Africa due delle sue migliori formazioni: la 132ᵃ Divisione corazzata “Ariete” e 102ª Divisione Motorizzata “Trento”.

I primi reparti sbarcarono già il 14 febbraio 1941, sotto la personale supervisione di Rommel, mentre l’11 marzo arrivò il Reggimento corazzato della 5ᵃ Divisione leggera. A questo punto Rommel intendeva dar corso all’operazione Sonnenblume, le cui direttive originarie, però, erano decisamente diverse dai suoi progetti. L’OKH (Oberkommando des Heeres – Comando supremo dell’Esercito), l’aveva inquadrata infatti solo come un’azione di blocco all’avanzata britannica, unicamente per difendere le posizioni italiane in Tripolitania; Rommel invece voleva imprimere un atteggiamento decisamente più aggressivo e intraprendente a tutta l’operazione, determinato com’era a riprendersi la Cirenaica. Tra l’altro mancava ancora la 15ᵃ Panzer Division, il cui arrivo si sarebbe completato solo a fine marzo e ciò non faceva che aumentare il dissenso degli altri comandi tedeschi rispetto ai piani di Rommel. Tali contrasti caratterizzarono tutta l’esperienza di Rommel in Nord Africa. Solo dopo l’incontro a Berlino del 19 marzo, egli ottenne il consenso da Hitler stesso per lanciare l’operazione nelle modalità che aveva in mente.

Nel fronte opposto le forze britanniche in Cirenaica, al comando del generale Wavell, erano in fase di riorganizzazione, con i resti della 7ª Divisione corazzata ritirata in Egitto per riequipaggiarsi e la divisione australiana in attesa d’imbarcarsi per essere impiegata in Grecia. Dunque quando Rommel sferrò la prima offensiva il 24 marzo 1941, i britannici ne furono totalmente sorpresi. El Agheila cadde subito, riconquistata da un solo reparto esplorante della 5ᵃ Divisione leggera, e il 30 marzo, il grosso della 5ᵃ Divisione attaccò e prese Marsa Brega, per poi dirigersi verso Aghedabia che raggiunse e conquistò il 2 aprile 1941.

A fronteggiare questa percussione c’era solo una Divisione corazzata appena arrivata in prima linea, anche debolmente equipaggiata, con una Brigata anglo-indiana nelle retrovie, che si trovò subito in estrema difficoltà; così, alla perdita di Aghedabia, il comando britannico reagì con una ritirata generale.

A questo punto Rommel, in pieno disaccordo col generale Gariboldi, decise di lanciarsi all’inseguimento dei britannici, guidando personalmente una difficile marcia attraverso le piste dell’altopiano del Gebel. Divise le sue forze in quattro colonne separate e, nonostante le grandi difficoltà logistiche a cui espose i suoi reparti, riuscì a ricongiungere le colonne tra El Mechili e Derna, catturando 2000 soldati britannici e 6 altri ufficiali.

Deciso a proseguire ancora l’offensiva, Rommel volle sfruttare lo slancio e il momento critico dei reparti britannici, muovendo subito contro Tobruk, nella cui piazzaforte era asserragliata quella ostinata Divisione australiana, a cui, per espressa volontà di Churchill, il generale Wavell aveva imposto la difesa a oltranza. Il 14 aprile 1941 Rommel si vide respingere con perdite il primo assalto, così come fallì anche il secondo portato il 16 aprile, nonostante in quest’ultimo fossero stati impiegati i primi reparti corazzati della 15ᵃ Panzer Division, appena giunti sulla linea del fronte.

La battuta d’arresto costrinse Rommel a iniziare un regolare assedio della piazzaforte di Tobruk mentre contemporaneamente inviava un distaccamento meccanizzato verso il confine libico-egiziano, che raggiunse e occupò le importanti posizioni di frontiera a Bardia, forte Capuzzo e passo di Halfaya, così da stabilire un’efficace copertura a protezione delle truppe impegnate nell’assedio di Tobruk.

Un nuovo attacco venne sferrato a Tobruk il 30 aprile, anch’esso respinto con perdite, ma stavolta sotto gli occhi del generale Friedrich Paulus inviato sul fronte appositamente per valutarne la situazione. Egli si rese immediatamente conto della grave fragilità riguardo alla logistica, raccomandando maggiore efficienza nelle linee di rifornimento. Veniva quindi consigliato di sospendere le azioni offensive, fino a quando non fossero state potenziate le fonti portuali di rifornimento a Tripoli e Bengasi, nonché rafforzata la copertura contraerea. Di fatto aveva perfettamente inquadrato la radice del futuro fallimento delle forze italo-tedesche nella spedizione africana.

Da parte britannica, nel frattempo, Churchill stava pesantemente rinforzando il suo schieramento e, mentre i nuovi reparti si stavano organizzando per divenire operativi, il generale Wavell il 15 maggio 1941 lanciò l’operazione Brevity, condotta dal generale William Gott, pensata per sferrare attacchi limitati a quelle posizioni di frontiera il cui controllo avrebbe alleggerito la pressione sulle truppe assediate a Tobruk. Con due Brigate, una corazzata e l’altra motorizzata, il generale Gott riuscì a riprendersi Sollum, forte Capuzzo e il passo di Halfaya; ma durò pochissimo. Già il giorno dopo, il 16 maggio, la 15ᵃ Panzer Division, appena giunta sul fronte, riuscì con un contrattacco sul fianco, a ribaltare la situazione, infliggendo perdite e costringendo i britannici ad abbandonare Sollum e forte Capuzzo. Il 27 maggio, poi, Rommel sferrò un altro attacco per riprendersi pure il passo di Halfaya.

I ripetuti successi delle truppe italo-tedesche, nonostante gli imponenti rinforzi britannici, avevano irritato Churchill, che premeva sul generale Wavell affinché approntasse un imponente attacco che spazzasse via il nemico dal nord Africa, ma il generale nutriva forti dubbi sulla riuscita di un offensiva in larga scala. Alla fine, però, si decise e il 15 giugno 1941 lanciò l’operazione Battleaxe,

L’attacco fu portato dalla 7ª Divisione corazzata, una divisione indiana e una brigata motorizzata lungo la linea di frontiera, ma non sorprese il generale Rommel, che, informato dell’attacco, aveva predisposto uno sbarramento lungo le posizioni favorevoli tra Halfaya e Capuzzo.

L’assalto britannico si svolse su due direttrici, una contro il forte Capuzzo, dove conseguì qualche limitato successo, e l’altra al passo Halfaya, da dove invece fu duramente respinta dallo sbarramento controcarro del capitano Wilhelm Bach. A quel punto vennero fatte intervenire le riserve meccanizzate dell’Afrikakorps per bloccare l’avanzata attraverso il deserto.

Il 16 giugno la 15ᵃ Panzer Division contrattaccò verso sud, ma venne fermata e respinta, mentre la 5ᵃ Panzer Division era riuscita faticosamente a superare la resistenza dei carri nemici, portandosi ancora più a sud. Allora il 17 giugno Rommel decide di concentrarle e spingersi ulteriormente a sud per tentare una rischiosa manovra d’aggiramento che alla fine ebbe successo, mettendo sotto seria minaccia il fianco della XIII Armata e inducendo i generali britannici a ordinare la ritirata generale.

Con questo brillante successo Rommel aveva manifestato la superiorità tattica della sua manovra e l’efficacia dell’impiego combinato tra i cannoni anticarro e le divisioni corazzate.

L’irritazione di Churchill si concretizzò in una profonda revisione della catena di comando delle forze britanniche in nord Africa, oltre che in una robusta ondata di rinforzi con mezzi nuovi e moderni, che resero l’Armata britannica una possente compagine offensiva corazzata e motorizzata, in grado di operare in grande mobilità. Inoltre, sotto la direzione del nuovo comandante generale Claude Auchinleck, anche tutta la struttura logistica venne rivista, pure con la costruzione di nuovi depositi. La profonda riorganizzazione della forze britanniche si realizzò nella creazione dell’8ᵃ Armata, che venne ufficialmente attivata il 26 settembre 1941. Churchill la voleva subito impiegata sul campo per chiudere rapidamente e in modo definitivo il teatro nord africano, ma la sua impazienza si scontrava col meticoloso lavoro del generale, cosicché la cosiddetta operazione Crusader ebbe corso solo il 18 novembre 1941.

L’idea era di portare un attacco frontale alle posizioni di frontiera, mentre la 7ᵃ armata corazzata avrebbe contestualmente operato un’ampia manovra aggirante attraverso il deserto.

Se da una parte le forze britanniche s’erano rafforzate, dall’altra la situazione del Panzergruppe Afrika si era complicata parecchio, specie per l’aggravarsi dei problemi di approvvigionamento causati dalle efficaci azioni aeronavali nemiche condotte da Malta. Oltre il 60% dei mercantili andarono perduti, pregiudicando i rifornimenti come i rinforzi. Inoltre le informazioni su un imminente attacco britannico rendevano urgenti i lavori sulle posizioni di difesa. Rommel invece rimaneva concentrato sui suoi piani per conquistare Tobruk, senza preoccuparsi più di tanto delle indicazioni sull’attacco britannico, convinto com’era di poterlo anticipare, prendendo Tobruk prima che si realizzasse.

L’offensiva britannica iniziò preceduta da un clima piovoso, che impedì alle ricognizioni aeree dell’Asse di valutare correttamente la disposizione delle forze britanniche; la 7ᵃ armata corazzata al comando del generale Gott avanzò nel deserto e, senza incontrare alcuna resistenza, raggiunse Gabr Saleh. Il generale Cunningham, al comando dell’operazione, fu sorpreso dal mancato intervento delle riserve meccanizzate tedesche e quindi il 19 novembre decise di dividere le sue brigate corazzate per ricercare il nemico nel deserto. Rommel continuò a ignorare l’avanzata nemica e i rapporti del servizio informazioni, convinto si trattasse solo di scaramucce, completamente focalizzato nel suo programmato attacco a Tobruk. La forza d’urto britannica quindi non incontrò i carri di Rommel come si aspettava Gott, ma, mentre una brigata corazzata raggiungeva con successo Sidi Rezegh a sud-est di Tobruk, l’altra attaccò Bir el Gobi dove venne duramente respinta con gravi perdite, dalla Divisione corazzata “Ariete” e dall’8º Reggimento Bersaglieri.

Solo il 20 novembre Rommel si rese conto che quella che aveva davanti era una vera offensiva. Fece entrare in azione da nord la 21ᵃ Panzer-Division (ex 5ª Divisione Leggera) e la 15ᵃ Panzer-Division dell’Afrikakorps. Fino al 23 novembre, giorno della battaglia finale a Sidi Rezegh, continuarono nel deserto confusi e aspri scontri dall’esito alterno tra i mezzi corazzati italo-tedeschi e britannici. Alla fine i reparti panzer, più abili tatticamente, ebbero la meglio, e i britannici dovettero ripiegare abbandonando le posizioni raggiunte. La minaccia immediata su Tobruk era stata fermata, ma nuovi reparti neozelandesi si stavano già avvicinando a Sidi Rezegh,

Convinto di avere inflitto una sconfitta irreversibile alle forze mobili del nemico, Rommel decise di passare a sua volta all’offensiva.  Il 24 novembre raggruppò tutte le formazioni corazzate dell’Afrikakorps e dell’”Ariete” ancora operative e diresse personalmente una grande incursione in profondità verso la frontiera libico-egiziana con l’obiettivo di rincalzare le guarnigioni italo-tedesche lungo la frontiera e nella speranza di trovare i depositi di rifornimento delle forze britanniche, così da far fronte alla propria ormai cronica penuria di rifornimenti. Secondo Rommel questo sarebbe bastato a inferire un colpo mortale al morale dell’8ª Armata e dare così all’Asse una vittoria completa. In realtà questa iniziativa si rivelò un errore. Nonostante qualche successo in qualche deposito nemico, i corazzati italo-tedeschi non riuscirono a conquistare i capisaldi della fanteria britannica e subirono pure dure perdite; inoltre a causa di problemi di comunicazione il generale Rommel, impegnato personalmente nell’incursione nel deserto, perse il controllo della situazione globale che, a partire dal 26 novembre, evolse in modo sfavorevole al Panzergruppe Afrika.

Mentre gli italo-tedeschi disperdevano le loro forze nel deserto, i britannici ebbero il tempo per riorganizzare le loro unità corazzate, recuperare molti mezzi fuori uso e far avanzare le cospicue riserve disponibili; inoltre la fanteria motorizzata neozelandese, avanzando lungo la strada costiera, il 27 novembre raggiunse la zona di Tobruk e si ricongiunse con la guarnigione britannica della piazzaforte che era a sua volta passata all’attacco.

Dal 28 novembre il generale Rommel dovette interrompere la sua inutile incursione sulla frontiera e ritornare con le due indebolite Panzer-Division verso Tobruk. L’Afrikakorps fu ancora in grado entro il 2 dicembre di contrattaccare e battere i neozelandesi a Sidi Rezegh, bloccando nuovamente la guarnigione della piazzaforte, ma ormai i panzer disponibili erano ridotti a poche decine, mentre le forze corazzate britanniche, riorganizzate e rinforzate, erano molto più numerose e si stavano raggruppando nella zona di Bir el Gobi per attaccare da sud. Il 5 dicembre i britannici riaprirono i collegamenti con Tobruk; infine, dopo un’ultima battaglia di carri, i mezzi corazzati tedeschi, privi dell’appoggio delle indebolite forze mobili italiane, dovettero ritirarsi.

Il 7 dicembre il generale Rommel decise di abbandonare il campo di battaglia e ripiegare sulla linea di Ain el-Gazala, in aperto contrasto con i generali italiani, ma ormai il grave indebolimento delle forze e la strutturale carenza dei rifornimenti rendevano impossibile tenere la linea di Gazala.

Il 16 dicembre 1941, dopo alcuni contrattacchi per rallentare l’inseguimento delle truppe britanniche, Rommel ordinò la ritirata attraverso la Cirenaica, riportando il fronte sulla linea di El Agheila.

Le guarnigioni italo-tedesche, rimaste assediate sulla linea di confine, erano ormai spacciate.

Con la conclusione dell’operazione Crusader termina anche il periodo trattato in North Africa ’41 e con esso anche il nostro articolo.

Prima di chiudere, però, va segnalato un terzo gioco in griglia dedicato al Nord Africa: Rommel in the Desert, una vecchia gloria pubblicata nel lontano 1982 dalla Columbia Games, scritta da Craig Besinque.Il sistema di gioco è il Columbia Games Block, che si avvale di blocchi di legno con l’effige dell’unità rappresentata, rivolta verso il giocatore che la controlla.

Questo sistema, oltre a raffigurare la “nebbia di guerra”, dà la possibilità di classificare la forza delle unità in quattro valori, uno per lato, rispetto ai due delle classiche pedine fronte retro.

Tale semplice soluzione corrisponde in modo immediato, sia l’impossibilità di architettare piani perfetti, costruiti su rapporti di forza certi, sia un maggiore dettaglio dell’entità delle perdite inflitte e subite.

L’incertezza logistica è affidata ad un sistema Card Driven, che anche qui tiene sospesi i giocatori quando devono dar corso ad una qualsiasi operazione.

Come i due titoli precedenti, anche questo pone il focus di tutta l’esperienza di gioco sulla guerra di nervi che si instaura fra le due parti in campo, in modo da consegnare ai giocatori la tensione che pervadeva ogni decisione che veniva presa, spesso basata su ipotesi e speranze, piuttosto che su certezze. Quindi anche sul tavolo, come nella campagna nel deserto che fu il Nord Africa, le qualità che svolgono un ruolo fondamentale per condurre al successo le proprie truppe saranno la lungimiranza, il coraggio e l’istinto.

Visto che Rommel in the Desert uscì nove anni prima di The Legend Begins, è lecito pensare che anche Mark Simonitch ne sia stato in parte ispirato…

Ed ora tutti al Raduno!

I Giochi del Raduno 2023 (parte II) Blenheim 1704

Un gioco di sicuro interesse che compare in griglia è The Battle of Blenheim 1704; a parer di chi scrive, un autentico gioiellino che la Legion WarGames rilasciò nel 2017, disegnato da Steven Pole. Siamo difronte ad un tattico, primo di una serie in fase di sviluppo che introduce un nuovo sistema di combattimento.

Su una meccanica hex & counter, riproduce in modo semplice, ma di grande efficacia, i diversi movimenti e le condotte assunte dagli schieramenti sul campo di battaglia tipiche del XVIII e XIX secolo. La battaglia proposta dal gioco fu combattuta durante la guerra di successione spagnola e forse fu quella che maggiormente ne determinò il corso.

Inoltre l’esito vide sconfitta la parte che si presentava con maggior forza e nella posizione migliore per respingere l’attacco, così da aggiungere ulteriore motivo d’interesse nel ripercorrere quegli eventi sul tavolo da gioco. Ma a questo punto andiamo con ordine.

La cornice, dicevamo, è la guerra di successione spagnola, scoppiata all’indomani della morte di Carlo II di Spagna avvenuta nel 1700. Ultimo degli Asburgo sul trono di Spagna e privo di eredi, quando ormai era in fin di vita, aveva designato a succedergli il pronipote, Filippo di Borbone, Duca d’Angiò, il quale però, essendo pure il nipote di Luigi XIV, avrebbe condotto sotto il controllo dei Borbone le due più estese e potenti corone dell’epoca.

Inoltre non era nemmeno stato escluso dalla linea di successione al trono di Francia e, non intendendo rinunciare ai diritti sulla corona francese, rendeva concreta l’eventualità di accentrare le monarchie di Francia e Spagna sotto il controllo di un unico sovrano.

Per scongiurare un simile scenario, che avrebbe sconvolto i delicati equilibri su cui poggiava la stabilità dei rapporti fra gli Stati in Europa, nel 1701 Inghilterra, Austria, assieme agli alleati del Sacro Romano Impero e delle Sette Province Unite (gli odierni Paesi Bassi) riformarono la Grande Alleanza della Lega di Augusta opponendo a Filippo l’Arciduca Carlo d’Asburgo come erede sul trono di Spagna, secondogenito di Leopoldo I, già nominato Carlo III di Spagna dai suoi sostenitori.

La guerra che oppose gli Asburgo ai Borbone, le due casate reali più potenti dell’epoca, ebbe così inizio.

Con la Spagna ormai in declino, la preoccupazione maggiore dell’Alleanza era quella di arginare l’intraprendenza francese che nei primi anni di guerra, aveva condotto le truppe di Luigi XIV a conseguire, anche grazie al supporto del suo alleato più importante, l’Elettorato di Baviera, diverse vittorie sul Danubio. Così, quando il 20 settembre del 1703 il maresciallo Claude Louis Hector de Villars e

l’elettore Massimiliano II di Baviera s’imposero anche a Höchstädt, le truppe franco bavaresi si trovarono nella posizione di mettere seriamente sotto diretta minaccia addirittura Vienna, la capitale stessa dell’impero asburgico. E per l’Austria non era nemmeno l’unico motivo di preoccupazione.

Ad est, approfittando proprio del momento a lui favorevole e con l’appoggio borbonico, il principe ungherese Francesco II Rákóczi, alla guida della ribellione nazionale, insorse contro gli Asburgo, arrivando ad essere eletto principe reggente d’Ungheria dal parlamento ungherese. Adesso era in discussione la potenza stessa degli Asburgo in Europa, concretamente a rischio di un sostanziale ridimensionamento.

Fu nel marzo del 1704, quando le capacità e l’intraprendenza del maresciallo de Villars furono necessarie altrove (per domare la rivolta dei Carnisardi nelle Cervenne, la catena montuosa nella Francia meridionale), che il più prudente maresciallo Ferdinand de Marsin gli subentrò, cambiando radicalmente l’atteggiamento delle truppe in campo.

Alcuni storici attribuiscono l’avvicendamento al dissenso tra de Villars e Massimilano II. Fatto sta che Vienna respirava grazie al tempo guadagnato nel cambio al comando francese.

La minaccia per Vienna restava comunque concreta, vista anche la disposizione strategica dell’esercito francese nello scacchiere europeo, volta ad isolare il teatro danubiano da qualsiasi intervento alleato. Il maresciallo François de Neufville de Villeroy aveva il compito di bloccare le truppe anglo olandesi posizionate intorno a Maastricht, nei Paesi Bassi Spagnoli, mentre al generale Robert Jean Antoine de Franquetot de Coigny era stato dato quello di proteggere l’Alsazia.

Rimanevano, come uniche forze immediatamente disponibili a difesa di Vienna, i 36.000 uomini del principe Luigi Guglielmo, margravio di Baden-Baden, di stanza sulla Linea di Stollhofen col compito di sorvegliare il maresciallo Camille d’Hostun, duc de Tallard, a Strasburgo, e 10.000 uomini sotto il principe Eugenio di Savoia a sud di Ulm.

È qui che entra in scena il principale artefice dell’evolversi degli eventi che seguirono: John Churchill, primo duca di Marlborough, nonché remoto avo di Winston Churchill. Perfettamente consapevole delle implicazioni di un’eventuale caduta di Vienna, si adoperò per predisporre una lunga marcia che rinforzasse in modo sostanziale le truppe dell’Alleanza schierate a difesa di Vienna.

L’idea era di spostare parte della forza presente nei Paesi Bassi Spagnoli verso il Danubio, ma per attuare il piano, dovette agire d’astuzia e attingere alle sue capacità diplomatiche, anche per vincere le resistenze dell’alleato olandese, decisamente contrario a vedersi sguarnite le posizioni per dar corpo ad operazioni militari a sud del Danubio, considerate troppo azzardate.

Mantenendo segrete le sue reali intenzioni, Marlborough si fece approvare dall’Aia uno spostamento delle sue truppe verso la Mosella, ma una volta sganciato, con la promessa di tornare subito indietro in caso di attacco francese, si mosse per unirsi con le forze austriache nella Germania meridionale. Era sua convinzione, infatti, che anziché incoraggiare l’attacco alle posizioni intorno Maastricht, egli si sarebbe trascinato dietro parte delle truppe francesi, cosa che puntualmente capitò.

La marcia di Marlborough iniziò il 19 maggio da Bedburg, 32 km a nord-ovest di Colonia, con 21000 uomini, tra fanteria, cavalleria e artiglieria, e, come da programma, il maresciallo Villeroy lo seguì con 30000 uomini.

Lungo il viaggio Marlborough riuscì ad incrementare il numero della spedizione sino quasi a raddoppiarlo, finendo per far giungere sul fronte danubiano un contingente di rinforzo di ben 40000 uomini. Inoltre condusse la marcia in modo da mantenere segreto fino all’ultimo l’obiettivo finale, con manovre e scelte di percorso che davano adito a più di una lettura per interpretare le sue reali intenzioni strategiche.

Sul fronte opposto i francesi avevano il problema di sostenere e rifornire Marsin, che poteva essere raggiunto solo attraverso i passi impervi della Foresta Nera. Il difficile compito veniva affidato a Tallard, il quale il 14 maggio aveva portato 8000 uomini e rifornimenti, riuscendo pure a superare i tentativi d’intercettarlo dei generali austriaci.

Il 26 maggio Marlborough raggiunse Coblenza, dove la Mosella incontra il Reno. Lì attese il contingente di Hannover e i prussiani, lasciando i francesi col dubbio se avesse inteso attaccare lungo la Mosella fino a quando non attraversò la riva destra del Reno. I francesi si resero allora conto che non ci sarebbe stata alcuna campagna sulla Mosella, ma un secondo possibile obiettivo poteva concretizzarsi ancora in un’incursione alleata in Alsazia e un attacco a Strasburgo. Marlborough alimentò questa apprensione costruendo ponti sul Reno a Philippsburg; uno stratagemma che non solo incoraggiò Villeroy a venire in aiuto di Tallard nella difesa dell’Alsazia, ma ottenne pure che il piano francese di marciare su Vienna fosse ulteriormente ritardato in attesa di vedere cosa avrebbe fatto l’esercito di Marlborough.

Dal canto suo Marlborough si assicurò un contingente danese di sette battaglioni e 22 squadroni come rinforzo; raggiunse poi Ladenburg, nella pianura del Neccaro e del Reno, e lì si fermò per tre giorni per far riposare la cavalleria e permettere ai cannoni e alla fanteria di chiudersi. Il 6 giugno arrivò a Wiesloch, a sud di Heidelberg. Il giorno seguente, si allontanò dal Reno verso le colline del Giura svevo e il Danubio, svelando finalmente la destinazione finale.

Ora che i piani di Marlborough risultavano palesi, era urgente per i francesi rivedere i loro. Tallard e Villeroy dovettero sottoporre all’approvazione del re ciò che avevano stabilito quando il 13 giugno s’incontrarono per cercare di salvare la Baviera. L’avallo di Luigi XIV giunse solo il 27 giugno. Il piano vedeva Tallard al rinforzo delle truppe di Marsin e Massimiliano II sul Danubio, con 40 battaglioni e 50 squadroni da condurre attraverso la Foresta Nera, mentre a Villeroy veniva affidato il compito di bloccare gli Alleati sulle linee di Stollhofen e solo nel caso questi avessero concentrato tutte le loro forze sul Danubio, avrebbe dovuto riunirsi con Tallard.

Tuttavia la strategia alleata era stata definita già dal 10 giugno, quando il presidente del Consiglio di Corte austriaco aveva incontrato Marlborough e il principe Eugenio di Savoia nel villaggio di Mundelsheim, a metà strada tra il Danubio e il Reno. Tale piano controbilanciava perfettamente le mosse francesi, tanto da rendere il tempo impiegato dalla corona per approvarlo, un fattore che avrebbe pesato nell’esito delle operazioni. Il principe Eugenio sarebbe tornato con 28.000 uomini sulle linee di Stollhofen, sul Reno, per sorvegliare Villeroy e Tallard, cercando d’impedirne i movimenti in aiuto dell’esercito franco-bavarese sul Danubio. Nel frattempo, le forze di Marlborough e del principe Luigi Guglielmo di Baden Baden, si sarebbero unite, per un totale di 80.000 uomini, e avrebbero marciato sul Danubio per cercare Massimiliano II e Marsin prima che potessero essere rinforzati.

Il 22 giugno Marlborough si riunisce con le truppe imperiali del principe Luigi, dopo una marcia di 400 km percorsi in cinque settimane, attentamente pianificata per non affaticare la truppa.

Il vantaggio numerico ora a favore degli alleati, costrinse Massimiliano e Marsin a spostare le loro forze nel campo trincerato di Dillingen, sulla riva nord del Danubio.

In risposta il 2 luglio Marlborough assaltò e prese la fortezza di Schellenberg sulle alture sopra la città di Donauwörth, che cadde dopo poco, così da assicurarsi una base per le provviste e un eccellente punto di attraversamento del fiume. Massimiliano, vedendo che la sua posizione a Dillingen non era più sostenibile, prese posizione dietro le forti fortificazioni di Augusta.

Frattanto il principe Eugenio, a cui era stato affidato il controllo di Tallard e Villeroy sulle linee di Stollhofen, affinché fosse impedito ogni rinforzo ai franco bavaresi, si trovò ad affrontare il problema della marcia di Tallard. Bloccargli la strada prima che potesse arrivare sul Danubio era fondamentale per mantenere la superiorità numerica ottenuta da Marlborough, oppure avrebbe dovuto raggiungerlo sul fronte per rinforzalo direttamente. Ritirarsi dal Reno, però, avrebbe reso possibile anche a Villeroy di muoversi e collegarsi anche lui con Marsin e Massimiliano. Il principe Eugenio optò per un compromesso, lasciando 12.000 soldati a guardia delle linee di Stollhofen e marciando con il resto del suo esercito per prevenire Tallard.

In inferiorità numerica, il principe Eugenio non riuscì a disturbare seriamente la marcia di Tallard, ma i progressi del maresciallo francese si stavano rivelando lenti. Inoltre a differenza delle truppe di Marlborough, la forza di Tallard aveva sofferto molto di più durante la marcia, decisamente più dura anche per le difficoltà dei valichi montani della Foresta Nera.

Il 14 luglio Massimiliano, asserragliato ad Augusta, come fu informato che Tallard stava attraversando la Foresta Nera, si convinse a non prendere alcuna iniziativa fino a quando non fossero giunti i rinforzi. Ciò indusse Marlborough a devastare la Baviera incendiando edifici e coltivazioni, così da premere su Massimiliano affinché si decidesse a combattere o ad arrendersi prima dell’arrivo di Tallard. Inoltre stava seriamente pregiudicando le fonti di sussistenza a cui attingeva l’esercito franco bavarese.

Finalmente il 5 agosto Tallard, con 34.000 uomini, raggiunse Ulm, unendosi a Massimiliano e Marsin ad Augusta. Massimiliano dal canto suo, aveva disperso il suo esercito in risposta alla campagna di devastazione della regione scatenata da Marlborough.

Sempre il 5 agosto, anche il principe Eugenio raggiunse Höchstädt, sulla riva nord del Danubio, mentre quelle di Marborough si trovavano più avanti lungo il Danubio, a Rain, sulla riva sud. La situazione vedeva Massimiliano e Marsin favorevoli ad attaccare immediatamente, mentre Tallard più propenso ad attendere, lasciando che l’autunno e il freddo arenassero la campagna danubiana di Marlborough. Alla fine prevalse la decisione di attaccare la posizione del principe Eugenio, dove la forza alleata era minore.

Il 9 agosto, le forze franco-bavaresi iniziarono ad attraversare la riva nord del Danubio, muovendo verso Dillingen e Höchstädt. Già il 10 agosto, il principe Eugenio inviò un dispaccio urgente per comunicare che stava ripiegando su Donauwörth. Con una serie di rapide marce Marlborough concentrò le sue forze su Donauwörth e, a mezzogiorno dell’11 agosto, il collegamento era completo.

Nel corso dell’11 agosto, Tallard si spinse in avanti sino a Dillingen e il 12 agosto, le forze franco-bavaresi erano accampate dietro il piccolo fiume Nebel, vicino al villaggio di Blenheim nella pianura di Höchstädt. L’esercito di Tallard contava 56.000 uomini e 90 cannoni; l’esercito della Grande Alleanza 52.000 uomini e 66 cannoni. Si stava configurando la situazione iniziale della battaglia di Blenheim, che vedeva i franco-bavaresi superiori in numero e attestati su una forte posizione difensiva, dietro il torrente Nebel e con un terreno paludoso davanti a loro.

Il 13 agosto il campo di battaglia si estendeva per quasi 6 km. L’estremo fianco destro dell’esercito franco-bavarese poggiava sul Danubio, con 33000 francesi al comando di Tallard, schierati dal villaggio di Blenheim, dove il Nebel confluisce sul Danubio, fino al villaggio di Oberglauheim, a circa 3,5 km a nord-ovest di Blenheim, fatti di campi di grano ridotti a stoppie e pertanto ideali per lo schieramento delle truppe. Da Oberlaughen, ancora a nord-ovest per altri 2,5 km, sino alla successiva frazione di Lutzingen, a chiudere il fianco sinistro, erano schierati 23000 bavaresi al comando di Massimiliano e Marsin. Oltre si trovavano le ondulate colline ricoperte di pini del Giura Svevo. Il Nebel fronteggiava la linea francese e il terreno su entrambi i lati del fronte era paludoso e guadabile solo a intermittenza, mentre il terreno intorno a Lutzingen era caratterizzato da fossati, boschetti e rovi che lo rendevano anch’esso potenzialmente difficile per gli attaccanti.

Marlborough si posizionò difronte allo schieramento francese, assumendo il comando della parte sinistra del proprio schieramento, nel quale aveva concentrato il grosso della sua forza, così da muovere contro i 33000 di Tallard in condizione di superiorità numerica, con 36000 uomini, e occupare Blenhiem. I rimanenti 16000 uomini della parte della destra, affidati al comando del principe Eugenio, avrebbero dovuto fronteggiare i 23000 bavaresi di Massimiliano e Marsin, nonché muovere contro Lutzingen.

Marlborough prevedeva un intenso attacco sulle due ali: il principe Eugenio avrebbe dovuto impegnare pesantemente lo schieramento di Massimiliano e Marsin, in modo da rendere loro impossibile ogni intervento in appoggio a Tallard, e in contemporanea la sua estrema sinistra avrebbe dovuto attaccare direttamente Blenheim. Con i fianchi francesi impegnati, Marlborough avrebbe potuto attraversare il Nebel e sferrare il colpo fatale ai francesi al loro centro.

Tallard invece non si aspettava proprio un attacco alleato, convinto com’era che Marlborough e il principe Eugenio stessero per ritirarsi verso nord-ovest, in direzione di Nördlingen.

Per affrontare l’inaspettata minaccia, Tallard, Massimiliano e Marsin salirono pure sul campanile di Blenheim per capire meglio i movimenti avversari e definire un piano. Solo che mentre Tallard preferiva attirare il nemico nei pressi del torrente per poi scagliargli contro la cavalleria, Marsin e Massimiliano ritenevano al contrario che fosse meglio avanzare la propria fanteria fino al torrente, in modo che, mentre il nemico si dibatteva nelle paludi, venisse raggiunto dal fuoco incrociato di Blenheim e Oberglauheim. Il risultato fu che Marlborough attraversò il Nebel senza gravi interferenze, combattendo esattamente la battaglia che aveva pianificato.

Gli attacchi sulle ali furono furiosi, respinti molte volte, specie a Lutzingen, ma alla fine il centro dello schieramento francese si era assottigliato per cercare di sostenere i fianchi e un ultimo grave errore squilibrò fatalmente l’assetto francese, quando Clérambault, il comandante della riserva, pressato dai ripetuti attacchi a Blenheim, sebbene fino ad allora respinti, ordinò ai suoi battaglioni di entrare nel villaggio, creando un ingolfamento tale da non rendere più possibile la benché minima manovra dei reparti. A questo punto, vanificatosi il vantaggio numerico francese, Marlborough interruppe gli attacchi al villaggio, ordinando ai suoi ufficiale di limitarsi ad impedire che quelle truppe lasciassero il villaggio di Blenheim e non più di 5.000 soldati alleati furono sufficienti a contenere il doppio della fanteria e dei dragoni francesi.

Ne seguì una fase convulsa che coinvolse tutto il fronte, nella quale Tallard cercò di riorganizzare lo schieramento e tamponare le spinte alleate, ma alla fine fu Marlborough con una devastante carica di cavalleria approntata e riorganizzata sul campo con il rinforzo dei reparti del principe Eugenio, a travolgere e sfondare l’ormai esausto centro francese, tagliandone definitivamente in due lo schieramento.

La vittoria alleata a Blenheim fu tanto importante, quanto più per come fu ottenuta in condizioni così sfavorevoli, perché la caduta di Vienna era ormai ritenuta da Luigi XIV inevitabile, di fatto solo una questione di tempo, che alla fine lo avrebbe portato a chiudere rapidamente il conflitto, spingendo gli Asburgo ad una pace immediata e negoziata da una posizione di estrema forza. Invece la guerra si protrasse per altri 10 anni, senza che nessuna delle due parti riuscisse a prevalere decisamente sull’altra. Tanto più che in Inghilterra, proprio dopo la battaglia di Blenheim, cominciavano ad inasprirsi le dispute interne sull’opportunità di proseguire il conflitto, a causa del costo in termini finanziari e di vite umane troppo ingente rispetto ai vantaggi che il regno avrebbe potuto avere. Nel 1710, con l’ascesa dei Tories, la fazione a sfavore della prosecuzione delle ostilità ebbe la meglio e l’Inghilterra si sfilò dal conflitto impegnandosi nel preparare una conferenza di pace con la Francia da tenersi nel 1712.

Olandesi, tedeschi e austriaci mantennero vivo il conflitto armato nell’intento di rafforzare le loro posizioni negoziali, ma l’appoggio venuto meno degli inglesi ne aveva indebolito il potenziale offensivo. Così, dopo la sonora sconfitta a Denain, si unirono anche loro al tavolo della mediazione anglo-francese.

Il gioco ripercorre la battaglia con le forze già schierate nella loro configurazione finale al mattino del 13 agosto del 1704. Un giocatore assume il ruolo di Marlborough, al comando delle forze britanniche e alleate, e l’altro di Tallard, alla guida dei franco-bavaresi. Da questo momento ai giocatori si apre un ventaglio di possibilità amplissimo per condurre in porto i propri piani, garantito principalmente da due fattori. Il primo dovuto al fatto che la battaglia fu effettivamente una girandola di mosse e contromosse, misurate sullo sviluppo degli eventi, spesso anche ardite e volte a ribaltare condizioni sfavorevoli, adeguando di momento in momento le proprie forze in campo. Da entrambe le parti venne espresso uno sforzo continuo affinché gli obiettivi strategici rimanessero a portata.

All’inizio fu Marlborough a doversi esporre per affrontare l’iniziale svantaggio numerico e del terreno, ma, man mano che la battaglia sfuriava, furono i franco-bavaresi a dover reggere ad una pressione inaspettata e a reagire ad un evolversi degli eventi che stava facendo perdere loro le certezze dell’iniziale posizione di vantaggio. Il secondo fattore, ancora più determinate, è dovuto al sistema SHS (Seven Hex System) che si presenta come un’autentica rivoluzione del modo di simulare le battaglie del XVIII e XIX secolo.

Il Seven Hex System (SHS) deriva il suo nome dalla mappa divisa in macroaree composte da sette esagoni. All’interno di ogni macroarea le unità possono essere disposte in varie posizioni per riflettere le diverse formazioni tattiche, rendendo così molto flessibile il sistema di gioco al modus operandi della dottrina tattica dell’epoca, ove era l’assetto della formazione a determinarne l’atteggiamento tattico offensivo o difensivo.

In questo modo l’SHS incorpora diverse caratteristiche uniche, volte a replicare in modo semplice e intuitivo le opzioni a disposizione di un comandante di un grande esercito. Inoltre il sistema è congegnato anche per simulare la progressiva perdita di controllo di un comandante sulle unità impegnate in combattimento, nell’evolversi degli eventi durante lo sfuriare della battaglia.

Quindi, mentre il comandante ha completa libertà di ideare un piano e molta quando posiziona le unità che devono ancora incontrare il nemico, una volta che la battaglia è iniziata le opzioni diventano sempre più limitate e gli eventi imprevisti possono avere un ruolo nel determinarne l’esito. Tuttavia, le decisioni di un comandante rimangono cruciali anche a livello tattico, così che la chiave del successo per questo gioco è un piano solido che preveda un certo margine di errore e che consenta di gestire la sfortuna con pochi e mirati interventi, grazie ad un accorto dispiegamento di unità e ad un uso accorto delle riserve, così da far prevalere il proprio piano a dispetto di tutto. E non è esattamente ciò che in ogni umana impresa realmente accade?