I Giochi del Raduno 2023 (parte II) Blenheim 1704

Un gioco di sicuro interesse che compare in griglia è The Battle of Blenheim 1704; a parer di chi scrive, un autentico gioiellino che la Legion WarGames rilasciò nel 2017, disegnato da Steven Pole. Siamo difronte ad un tattico, primo di una serie in fase di sviluppo che introduce un nuovo sistema di combattimento.

Su una meccanica hex & counter, riproduce in modo semplice, ma di grande efficacia, i diversi movimenti e le condotte assunte dagli schieramenti sul campo di battaglia tipiche del XVIII e XIX secolo. La battaglia proposta dal gioco fu combattuta durante la guerra di successione spagnola e forse fu quella che maggiormente ne determinò il corso.

Inoltre l’esito vide sconfitta la parte che si presentava con maggior forza e nella posizione migliore per respingere l’attacco, così da aggiungere ulteriore motivo d’interesse nel ripercorrere quegli eventi sul tavolo da gioco. Ma a questo punto andiamo con ordine.

La cornice, dicevamo, è la guerra di successione spagnola, scoppiata all’indomani della morte di Carlo II di Spagna avvenuta nel 1700. Ultimo degli Asburgo sul trono di Spagna e privo di eredi, quando ormai era in fin di vita, aveva designato a succedergli il pronipote, Filippo di Borbone, Duca d’Angiò, il quale però, essendo pure il nipote di Luigi XIV, avrebbe condotto sotto il controllo dei Borbone le due più estese e potenti corone dell’epoca.

Inoltre non era nemmeno stato escluso dalla linea di successione al trono di Francia e, non intendendo rinunciare ai diritti sulla corona francese, rendeva concreta l’eventualità di accentrare le monarchie di Francia e Spagna sotto il controllo di un unico sovrano.

Per scongiurare un simile scenario, che avrebbe sconvolto i delicati equilibri su cui poggiava la stabilità dei rapporti fra gli Stati in Europa, nel 1701 Inghilterra, Austria, assieme agli alleati del Sacro Romano Impero e delle Sette Province Unite (gli odierni Paesi Bassi) riformarono la Grande Alleanza della Lega di Augusta opponendo a Filippo l’Arciduca Carlo d’Asburgo come erede sul trono di Spagna, secondogenito di Leopoldo I, già nominato Carlo III di Spagna dai suoi sostenitori.

La guerra che oppose gli Asburgo ai Borbone, le due casate reali più potenti dell’epoca, ebbe così inizio.

Con la Spagna ormai in declino, la preoccupazione maggiore dell’Alleanza era quella di arginare l’intraprendenza francese che nei primi anni di guerra, aveva condotto le truppe di Luigi XIV a conseguire, anche grazie al supporto del suo alleato più importante, l’Elettorato di Baviera, diverse vittorie sul Danubio. Così, quando il 20 settembre del 1703 il maresciallo Claude Louis Hector de Villars e

l’elettore Massimiliano II di Baviera s’imposero anche a Höchstädt, le truppe franco bavaresi si trovarono nella posizione di mettere seriamente sotto diretta minaccia addirittura Vienna, la capitale stessa dell’impero asburgico. E per l’Austria non era nemmeno l’unico motivo di preoccupazione.

Ad est, approfittando proprio del momento a lui favorevole e con l’appoggio borbonico, il principe ungherese Francesco II Rákóczi, alla guida della ribellione nazionale, insorse contro gli Asburgo, arrivando ad essere eletto principe reggente d’Ungheria dal parlamento ungherese. Adesso era in discussione la potenza stessa degli Asburgo in Europa, concretamente a rischio di un sostanziale ridimensionamento.

Fu nel marzo del 1704, quando le capacità e l’intraprendenza del maresciallo de Villars furono necessarie altrove (per domare la rivolta dei Carnisardi nelle Cervenne, la catena montuosa nella Francia meridionale), che il più prudente maresciallo Ferdinand de Marsin gli subentrò, cambiando radicalmente l’atteggiamento delle truppe in campo.

Alcuni storici attribuiscono l’avvicendamento al dissenso tra de Villars e Massimilano II. Fatto sta che Vienna respirava grazie al tempo guadagnato nel cambio al comando francese.

La minaccia per Vienna restava comunque concreta, vista anche la disposizione strategica dell’esercito francese nello scacchiere europeo, volta ad isolare il teatro danubiano da qualsiasi intervento alleato. Il maresciallo François de Neufville de Villeroy aveva il compito di bloccare le truppe anglo olandesi posizionate intorno a Maastricht, nei Paesi Bassi Spagnoli, mentre al generale Robert Jean Antoine de Franquetot de Coigny era stato dato quello di proteggere l’Alsazia.

Rimanevano, come uniche forze immediatamente disponibili a difesa di Vienna, i 36.000 uomini del principe Luigi Guglielmo, margravio di Baden-Baden, di stanza sulla Linea di Stollhofen col compito di sorvegliare il maresciallo Camille d’Hostun, duc de Tallard, a Strasburgo, e 10.000 uomini sotto il principe Eugenio di Savoia a sud di Ulm.

È qui che entra in scena il principale artefice dell’evolversi degli eventi che seguirono: John Churchill, primo duca di Marlborough, nonché remoto avo di Winston Churchill. Perfettamente consapevole delle implicazioni di un’eventuale caduta di Vienna, si adoperò per predisporre una lunga marcia che rinforzasse in modo sostanziale le truppe dell’Alleanza schierate a difesa di Vienna.

L’idea era di spostare parte della forza presente nei Paesi Bassi Spagnoli verso il Danubio, ma per attuare il piano, dovette agire d’astuzia e attingere alle sue capacità diplomatiche, anche per vincere le resistenze dell’alleato olandese, decisamente contrario a vedersi sguarnite le posizioni per dar corpo ad operazioni militari a sud del Danubio, considerate troppo azzardate.

Mantenendo segrete le sue reali intenzioni, Marlborough si fece approvare dall’Aia uno spostamento delle sue truppe verso la Mosella, ma una volta sganciato, con la promessa di tornare subito indietro in caso di attacco francese, si mosse per unirsi con le forze austriache nella Germania meridionale. Era sua convinzione, infatti, che anziché incoraggiare l’attacco alle posizioni intorno Maastricht, egli si sarebbe trascinato dietro parte delle truppe francesi, cosa che puntualmente capitò.

La marcia di Marlborough iniziò il 19 maggio da Bedburg, 32 km a nord-ovest di Colonia, con 21000 uomini, tra fanteria, cavalleria e artiglieria, e, come da programma, il maresciallo Villeroy lo seguì con 30000 uomini.

Lungo il viaggio Marlborough riuscì ad incrementare il numero della spedizione sino quasi a raddoppiarlo, finendo per far giungere sul fronte danubiano un contingente di rinforzo di ben 40000 uomini. Inoltre condusse la marcia in modo da mantenere segreto fino all’ultimo l’obiettivo finale, con manovre e scelte di percorso che davano adito a più di una lettura per interpretare le sue reali intenzioni strategiche.

Sul fronte opposto i francesi avevano il problema di sostenere e rifornire Marsin, che poteva essere raggiunto solo attraverso i passi impervi della Foresta Nera. Il difficile compito veniva affidato a Tallard, il quale il 14 maggio aveva portato 8000 uomini e rifornimenti, riuscendo pure a superare i tentativi d’intercettarlo dei generali austriaci.

Il 26 maggio Marlborough raggiunse Coblenza, dove la Mosella incontra il Reno. Lì attese il contingente di Hannover e i prussiani, lasciando i francesi col dubbio se avesse inteso attaccare lungo la Mosella fino a quando non attraversò la riva destra del Reno. I francesi si resero allora conto che non ci sarebbe stata alcuna campagna sulla Mosella, ma un secondo possibile obiettivo poteva concretizzarsi ancora in un’incursione alleata in Alsazia e un attacco a Strasburgo. Marlborough alimentò questa apprensione costruendo ponti sul Reno a Philippsburg; uno stratagemma che non solo incoraggiò Villeroy a venire in aiuto di Tallard nella difesa dell’Alsazia, ma ottenne pure che il piano francese di marciare su Vienna fosse ulteriormente ritardato in attesa di vedere cosa avrebbe fatto l’esercito di Marlborough.

Dal canto suo Marlborough si assicurò un contingente danese di sette battaglioni e 22 squadroni come rinforzo; raggiunse poi Ladenburg, nella pianura del Neccaro e del Reno, e lì si fermò per tre giorni per far riposare la cavalleria e permettere ai cannoni e alla fanteria di chiudersi. Il 6 giugno arrivò a Wiesloch, a sud di Heidelberg. Il giorno seguente, si allontanò dal Reno verso le colline del Giura svevo e il Danubio, svelando finalmente la destinazione finale.

Ora che i piani di Marlborough risultavano palesi, era urgente per i francesi rivedere i loro. Tallard e Villeroy dovettero sottoporre all’approvazione del re ciò che avevano stabilito quando il 13 giugno s’incontrarono per cercare di salvare la Baviera. L’avallo di Luigi XIV giunse solo il 27 giugno. Il piano vedeva Tallard al rinforzo delle truppe di Marsin e Massimiliano II sul Danubio, con 40 battaglioni e 50 squadroni da condurre attraverso la Foresta Nera, mentre a Villeroy veniva affidato il compito di bloccare gli Alleati sulle linee di Stollhofen e solo nel caso questi avessero concentrato tutte le loro forze sul Danubio, avrebbe dovuto riunirsi con Tallard.

Tuttavia la strategia alleata era stata definita già dal 10 giugno, quando il presidente del Consiglio di Corte austriaco aveva incontrato Marlborough e il principe Eugenio di Savoia nel villaggio di Mundelsheim, a metà strada tra il Danubio e il Reno. Tale piano controbilanciava perfettamente le mosse francesi, tanto da rendere il tempo impiegato dalla corona per approvarlo, un fattore che avrebbe pesato nell’esito delle operazioni. Il principe Eugenio sarebbe tornato con 28.000 uomini sulle linee di Stollhofen, sul Reno, per sorvegliare Villeroy e Tallard, cercando d’impedirne i movimenti in aiuto dell’esercito franco-bavarese sul Danubio. Nel frattempo, le forze di Marlborough e del principe Luigi Guglielmo di Baden Baden, si sarebbero unite, per un totale di 80.000 uomini, e avrebbero marciato sul Danubio per cercare Massimiliano II e Marsin prima che potessero essere rinforzati.

Il 22 giugno Marlborough si riunisce con le truppe imperiali del principe Luigi, dopo una marcia di 400 km percorsi in cinque settimane, attentamente pianificata per non affaticare la truppa.

Il vantaggio numerico ora a favore degli alleati, costrinse Massimiliano e Marsin a spostare le loro forze nel campo trincerato di Dillingen, sulla riva nord del Danubio.

In risposta il 2 luglio Marlborough assaltò e prese la fortezza di Schellenberg sulle alture sopra la città di Donauwörth, che cadde dopo poco, così da assicurarsi una base per le provviste e un eccellente punto di attraversamento del fiume. Massimiliano, vedendo che la sua posizione a Dillingen non era più sostenibile, prese posizione dietro le forti fortificazioni di Augusta.

Frattanto il principe Eugenio, a cui era stato affidato il controllo di Tallard e Villeroy sulle linee di Stollhofen, affinché fosse impedito ogni rinforzo ai franco bavaresi, si trovò ad affrontare il problema della marcia di Tallard. Bloccargli la strada prima che potesse arrivare sul Danubio era fondamentale per mantenere la superiorità numerica ottenuta da Marlborough, oppure avrebbe dovuto raggiungerlo sul fronte per rinforzalo direttamente. Ritirarsi dal Reno, però, avrebbe reso possibile anche a Villeroy di muoversi e collegarsi anche lui con Marsin e Massimiliano. Il principe Eugenio optò per un compromesso, lasciando 12.000 soldati a guardia delle linee di Stollhofen e marciando con il resto del suo esercito per prevenire Tallard.

In inferiorità numerica, il principe Eugenio non riuscì a disturbare seriamente la marcia di Tallard, ma i progressi del maresciallo francese si stavano rivelando lenti. Inoltre a differenza delle truppe di Marlborough, la forza di Tallard aveva sofferto molto di più durante la marcia, decisamente più dura anche per le difficoltà dei valichi montani della Foresta Nera.

Il 14 luglio Massimiliano, asserragliato ad Augusta, come fu informato che Tallard stava attraversando la Foresta Nera, si convinse a non prendere alcuna iniziativa fino a quando non fossero giunti i rinforzi. Ciò indusse Marlborough a devastare la Baviera incendiando edifici e coltivazioni, così da premere su Massimiliano affinché si decidesse a combattere o ad arrendersi prima dell’arrivo di Tallard. Inoltre stava seriamente pregiudicando le fonti di sussistenza a cui attingeva l’esercito franco bavarese.

Finalmente il 5 agosto Tallard, con 34.000 uomini, raggiunse Ulm, unendosi a Massimiliano e Marsin ad Augusta. Massimiliano dal canto suo, aveva disperso il suo esercito in risposta alla campagna di devastazione della regione scatenata da Marlborough.

Sempre il 5 agosto, anche il principe Eugenio raggiunse Höchstädt, sulla riva nord del Danubio, mentre quelle di Marborough si trovavano più avanti lungo il Danubio, a Rain, sulla riva sud. La situazione vedeva Massimiliano e Marsin favorevoli ad attaccare immediatamente, mentre Tallard più propenso ad attendere, lasciando che l’autunno e il freddo arenassero la campagna danubiana di Marlborough. Alla fine prevalse la decisione di attaccare la posizione del principe Eugenio, dove la forza alleata era minore.

Il 9 agosto, le forze franco-bavaresi iniziarono ad attraversare la riva nord del Danubio, muovendo verso Dillingen e Höchstädt. Già il 10 agosto, il principe Eugenio inviò un dispaccio urgente per comunicare che stava ripiegando su Donauwörth. Con una serie di rapide marce Marlborough concentrò le sue forze su Donauwörth e, a mezzogiorno dell’11 agosto, il collegamento era completo.

Nel corso dell’11 agosto, Tallard si spinse in avanti sino a Dillingen e il 12 agosto, le forze franco-bavaresi erano accampate dietro il piccolo fiume Nebel, vicino al villaggio di Blenheim nella pianura di Höchstädt. L’esercito di Tallard contava 56.000 uomini e 90 cannoni; l’esercito della Grande Alleanza 52.000 uomini e 66 cannoni. Si stava configurando la situazione iniziale della battaglia di Blenheim, che vedeva i franco-bavaresi superiori in numero e attestati su una forte posizione difensiva, dietro il torrente Nebel e con un terreno paludoso davanti a loro.

Il 13 agosto il campo di battaglia si estendeva per quasi 6 km. L’estremo fianco destro dell’esercito franco-bavarese poggiava sul Danubio, con 33000 francesi al comando di Tallard, schierati dal villaggio di Blenheim, dove il Nebel confluisce sul Danubio, fino al villaggio di Oberglauheim, a circa 3,5 km a nord-ovest di Blenheim, fatti di campi di grano ridotti a stoppie e pertanto ideali per lo schieramento delle truppe. Da Oberlaughen, ancora a nord-ovest per altri 2,5 km, sino alla successiva frazione di Lutzingen, a chiudere il fianco sinistro, erano schierati 23000 bavaresi al comando di Massimiliano e Marsin. Oltre si trovavano le ondulate colline ricoperte di pini del Giura Svevo. Il Nebel fronteggiava la linea francese e il terreno su entrambi i lati del fronte era paludoso e guadabile solo a intermittenza, mentre il terreno intorno a Lutzingen era caratterizzato da fossati, boschetti e rovi che lo rendevano anch’esso potenzialmente difficile per gli attaccanti.

Marlborough si posizionò difronte allo schieramento francese, assumendo il comando della parte sinistra del proprio schieramento, nel quale aveva concentrato il grosso della sua forza, così da muovere contro i 33000 di Tallard in condizione di superiorità numerica, con 36000 uomini, e occupare Blenhiem. I rimanenti 16000 uomini della parte della destra, affidati al comando del principe Eugenio, avrebbero dovuto fronteggiare i 23000 bavaresi di Massimiliano e Marsin, nonché muovere contro Lutzingen.

Marlborough prevedeva un intenso attacco sulle due ali: il principe Eugenio avrebbe dovuto impegnare pesantemente lo schieramento di Massimiliano e Marsin, in modo da rendere loro impossibile ogni intervento in appoggio a Tallard, e in contemporanea la sua estrema sinistra avrebbe dovuto attaccare direttamente Blenheim. Con i fianchi francesi impegnati, Marlborough avrebbe potuto attraversare il Nebel e sferrare il colpo fatale ai francesi al loro centro.

Tallard invece non si aspettava proprio un attacco alleato, convinto com’era che Marlborough e il principe Eugenio stessero per ritirarsi verso nord-ovest, in direzione di Nördlingen.

Per affrontare l’inaspettata minaccia, Tallard, Massimiliano e Marsin salirono pure sul campanile di Blenheim per capire meglio i movimenti avversari e definire un piano. Solo che mentre Tallard preferiva attirare il nemico nei pressi del torrente per poi scagliargli contro la cavalleria, Marsin e Massimiliano ritenevano al contrario che fosse meglio avanzare la propria fanteria fino al torrente, in modo che, mentre il nemico si dibatteva nelle paludi, venisse raggiunto dal fuoco incrociato di Blenheim e Oberglauheim. Il risultato fu che Marlborough attraversò il Nebel senza gravi interferenze, combattendo esattamente la battaglia che aveva pianificato.

Gli attacchi sulle ali furono furiosi, respinti molte volte, specie a Lutzingen, ma alla fine il centro dello schieramento francese si era assottigliato per cercare di sostenere i fianchi e un ultimo grave errore squilibrò fatalmente l’assetto francese, quando Clérambault, il comandante della riserva, pressato dai ripetuti attacchi a Blenheim, sebbene fino ad allora respinti, ordinò ai suoi battaglioni di entrare nel villaggio, creando un ingolfamento tale da non rendere più possibile la benché minima manovra dei reparti. A questo punto, vanificatosi il vantaggio numerico francese, Marlborough interruppe gli attacchi al villaggio, ordinando ai suoi ufficiale di limitarsi ad impedire che quelle truppe lasciassero il villaggio di Blenheim e non più di 5.000 soldati alleati furono sufficienti a contenere il doppio della fanteria e dei dragoni francesi.

Ne seguì una fase convulsa che coinvolse tutto il fronte, nella quale Tallard cercò di riorganizzare lo schieramento e tamponare le spinte alleate, ma alla fine fu Marlborough con una devastante carica di cavalleria approntata e riorganizzata sul campo con il rinforzo dei reparti del principe Eugenio, a travolgere e sfondare l’ormai esausto centro francese, tagliandone definitivamente in due lo schieramento.

La vittoria alleata a Blenheim fu tanto importante, quanto più per come fu ottenuta in condizioni così sfavorevoli, perché la caduta di Vienna era ormai ritenuta da Luigi XIV inevitabile, di fatto solo una questione di tempo, che alla fine lo avrebbe portato a chiudere rapidamente il conflitto, spingendo gli Asburgo ad una pace immediata e negoziata da una posizione di estrema forza. Invece la guerra si protrasse per altri 10 anni, senza che nessuna delle due parti riuscisse a prevalere decisamente sull’altra. Tanto più che in Inghilterra, proprio dopo la battaglia di Blenheim, cominciavano ad inasprirsi le dispute interne sull’opportunità di proseguire il conflitto, a causa del costo in termini finanziari e di vite umane troppo ingente rispetto ai vantaggi che il regno avrebbe potuto avere. Nel 1710, con l’ascesa dei Tories, la fazione a sfavore della prosecuzione delle ostilità ebbe la meglio e l’Inghilterra si sfilò dal conflitto impegnandosi nel preparare una conferenza di pace con la Francia da tenersi nel 1712.

Olandesi, tedeschi e austriaci mantennero vivo il conflitto armato nell’intento di rafforzare le loro posizioni negoziali, ma l’appoggio venuto meno degli inglesi ne aveva indebolito il potenziale offensivo. Così, dopo la sonora sconfitta a Denain, si unirono anche loro al tavolo della mediazione anglo-francese.

Il gioco ripercorre la battaglia con le forze già schierate nella loro configurazione finale al mattino del 13 agosto del 1704. Un giocatore assume il ruolo di Marlborough, al comando delle forze britanniche e alleate, e l’altro di Tallard, alla guida dei franco-bavaresi. Da questo momento ai giocatori si apre un ventaglio di possibilità amplissimo per condurre in porto i propri piani, garantito principalmente da due fattori. Il primo dovuto al fatto che la battaglia fu effettivamente una girandola di mosse e contromosse, misurate sullo sviluppo degli eventi, spesso anche ardite e volte a ribaltare condizioni sfavorevoli, adeguando di momento in momento le proprie forze in campo. Da entrambe le parti venne espresso uno sforzo continuo affinché gli obiettivi strategici rimanessero a portata.

All’inizio fu Marlborough a doversi esporre per affrontare l’iniziale svantaggio numerico e del terreno, ma, man mano che la battaglia sfuriava, furono i franco-bavaresi a dover reggere ad una pressione inaspettata e a reagire ad un evolversi degli eventi che stava facendo perdere loro le certezze dell’iniziale posizione di vantaggio. Il secondo fattore, ancora più determinate, è dovuto al sistema SHS (Seven Hex System) che si presenta come un’autentica rivoluzione del modo di simulare le battaglie del XVIII e XIX secolo.

Il Seven Hex System (SHS) deriva il suo nome dalla mappa divisa in macroaree composte da sette esagoni. All’interno di ogni macroarea le unità possono essere disposte in varie posizioni per riflettere le diverse formazioni tattiche, rendendo così molto flessibile il sistema di gioco al modus operandi della dottrina tattica dell’epoca, ove era l’assetto della formazione a determinarne l’atteggiamento tattico offensivo o difensivo.

In questo modo l’SHS incorpora diverse caratteristiche uniche, volte a replicare in modo semplice e intuitivo le opzioni a disposizione di un comandante di un grande esercito. Inoltre il sistema è congegnato anche per simulare la progressiva perdita di controllo di un comandante sulle unità impegnate in combattimento, nell’evolversi degli eventi durante lo sfuriare della battaglia.

Quindi, mentre il comandante ha completa libertà di ideare un piano e molta quando posiziona le unità che devono ancora incontrare il nemico, una volta che la battaglia è iniziata le opzioni diventano sempre più limitate e gli eventi imprevisti possono avere un ruolo nel determinarne l’esito. Tuttavia, le decisioni di un comandante rimangono cruciali anche a livello tattico, così che la chiave del successo per questo gioco è un piano solido che preveda un certo margine di errore e che consenta di gestire la sfortuna con pochi e mirati interventi, grazie ad un accorto dispiegamento di unità e ad un uso accorto delle riserve, così da far prevalere il proprio piano a dispetto di tutto. E non è esattamente ciò che in ogni umana impresa realmente accade?

I Giochi del Raduno 2023 (parte I)

 

 “…
E se tu mai nel dolce mondo regge,
dimmi: perché quel popolo è sì empio
incontrar’ a’ miei in ciascuna sua legge?”

Ond’ io a lui: Lo strazio e ‘l grande scempio
che fece l’Arbia colorata in rosso,
tal orazion fa far nel nostro tempio”.

Inf. X, 82, 87

Dante e i suoi versi immortali aprono la consueta panoramica sulla griglia di quest’anno. Condotti così fummo dal sommo poeta insù pel primo gioco: Inferno, di Enrico Acerbi e Volko Ruhnke, terzo capitolo della serie Levy & Campaign, inaugurata da quest’ultimo con il famoso Nevsky.

Il gioco è incardinato sulla battaglia di Montaperti, una delle più sanguinose del medioevo, fra la fazione guelfa di Firenze e quella ghibellina di Siena, di cui Dante fa cenno nel X Canto dell’Inferno, quando, rispondendo a Farinata degli Uberti, che gli domandava ragione dell’accanimento dei fiorentini nei riguardi dei senesi, fa riferimento alla mattanza che, a battaglia finita, i senesi consumarono ai danni dei fiorentini.

Tale fu il massacro da colorare di rosso l’Arbia, il torrente che attraversa la valle omonima, lungo la quale i fiorentini avevano marciato sfruttandone il percorso più agevole e per il facile approvvigionamento idrico che il corso d’acqua garantiva.

Farinata degli Uberti era un nobile condottiero fiorentino che però apparteneva ad una delle più influenti famiglie ghibelline e che quindi, nella battaglia di Montaperti, combatté tra le fila dello schieramento ghibellino, che contava quasi 20000 senesi al comando di Provenzano Salvani. Nel campo avversario la lega guelfa contava oltre 30000 uomini, condotti da Jacopino Randoni.

All’alba del 4 settembre 1260 iniziò lo scontro che si protrasse con fasi alterne sino al pomeriggio, quando, si racconta, Bocca degli Abati, uno dei capi fiorentini, tradì la sua fazione moncando a tradimento la mano di Jacopo de’ Pazzi, il portastendardo guelfo. Non vedendo più l’insegna in campo, la fazione guelfa cadde nello scompiglio, facendo buon gioco ai ghibellini senesi, che così ebbero ragione in poco tempo dello schieramento guelfo, definitivamente schiantato dalla carica della cavalleria imperiale inviata da re Manfredi a sostegno dell’operazione. Fu allora che iniziò il massacro compiuto dai senesi, che fino al tramonto si dedicarono alla caccia ai guelfi in fuga lungo la valle dell’Arbia, trucidando oltre 10000 uomini, il cui sangue fece rosso il torrente…

Se Farinata degli Uberti viene collocato da Dante fra gli epicurei, che l’anima col corpo morta fanno, nel sesto cerchio dove patiscono gli eretici, ben più ignominioso è il destino che il sommo poeta riserva a Bocca degli Abati, posto nel cerchio più profondo dell’Inferno, il nono, quello riservato ai traditori, e a cui Dante manifesterà tutto il suo disprezzo dopo che, avendo inciampato sul suo capo, ne aveva suscitato la reazione.

Ciò per dire la vasta eco che l’avvenimento ebbe, e che ancora oggi viene rievocato. Vi è anche un cippo commemorativo, a forma piramidale, eretto alla fine dell’ottocento sulla sommità della collina di Montaperti e a tutt’oggi visitabile.

La battaglia di Montaperti s’inquadra nella storica rivalità fra Siena e Firenze, dovuta alla loro secolare lotta per l’egemonia sul territorio toscano e per le solite ragioni economiche. L’una agevolata dalla posizione lungo la via francigena e l’altra dall’Arno, entrambe conobbero un lungo periodo di fiorenti commerci e non ci volle molto che gli interessi economici dei due Comuni entrassero in conflitto e, con essi, anche quelli politici. Già all’indomani dell’anno mille i mercanti fiorentini e senesi giravano l’Europa arricchendosi, con la conseguente crescita delle attività dei banchieri delle due città.

Nella prima metà del XIII secolo, quando la rivalità economica e politica poteva già dirsi secolare, l’influenza fiorentina si era spinta a ridosso di Siena e la situazione politica vedeva Firenze a maggioranza guelfa, a sostegno del primato papale, mentre Siena, a maggioranza ghibellina, era alleata del Sacro Romano Impero, retto in quel periodo da Manfredi di Hohenstaufen, (o di Svevia o di Sicilia), figlio di Federico II.

Il casus belli delle ostilità che condussero a Montaperti, si verificò nel 1258, quando Siena, contravvenendo ad uno dei termini dell’accordo di pace del precedente conflitto del 1255, che l’aveva vista sconfitta, accolse alcuni esuli ghibellini fiorentini che avevano tentato di rovesciare i guelfi al potere a Firenze.

Le prime ostilità ebbero luogo in Maremma, dove i Guelfi riuscirono a fomentare gli animi nei Comuni di Grosseto, Monternassi e Montiano, inducendoli a rivoltarsi contro Siena, che, in risposta, chiese aiuto direttamente al re Manfredi, ottenendo in appoggio alcuni squadroni di cavalieri tedeschi, col cui sostegno, nel 1260, riuscì a piegare le resistenze guelfe in quei Comuni.

La reazione della lega guelfa fu immediata. Nel maggio di quell’anno fece muovere un esercito di oltre 35000 uomini alla volta di Siena. Accampandosi a nord della città, presso la chiesa di Santa Petronilla, vicino a Porta Camollia, il 18 maggio diede inizio ad un assedio. Quello stesso giorno i cavalieri senesi e tedeschi attaccarono l’accampamento e dopo due giorni di combattimenti, il 20 maggio, riuscirono a sgombrare il campo guelfo.

L’esito della battaglia indusse poi re Manfredi ad inviare altri 800 cavalieri in sostegno di Siena, la quale ricevette aiuti pure da Pisa, oltre che da altri ghibellini toscani. Le nuove risorse diedero ulteriore slancio al Comune ghibellino, che riuscì a riprendersi anche Montepulciano e Montalcino.

Firenze, sull’urgenza di riprendersi subito i due Comuni appena persi, chiamò a raccolta tutta la lega guelfa e con un esercito di 33000 uomini, tra fanti e cavalieri, mosse su Siena, accampandosi nelle vicinanze del torrente Arbia, nei pressi di Montaperti. Il 2 settembre venne consegnato l’ultimatum al Consiglio dei Ventiquattro, il governo di Siena, che lo respinse, e la mattina del 4 settembre l’esercito ghibellino attraversato l’Arbia, schierò sul campo quattro divisioni pronte per una manovra d’accerchiamento, dando inizio alla battaglia di Montaperti.

Con Inferno, Acerbi innesta la lotta per il predominio della Toscana tra Siena e Firenze, nel sistema Levy & Campaign, studiato da Ruhnke proprio per simulare manovre e campagne politico-militari del periodo medioevale. Con questo sistema dunque Acerbi riproduce la complessa dinamica che mosse la crisi qui rappresentata, ove alle ragioni che contrapposero Siena e Firenze sul piano economico e d’influenza politica, si sovrappose quella relativa al conflitto fra Guelfi e Ghibellini, che confuse non poco le relazioni reciproche fra i diversi Comuni e quelle interne nei governi di ciascuno. Infatti, pur stabilendosi maggioranze più o meno stabili che potevano inquadrare una città a sostegno di una delle due fazioni, non mancavano casi di famiglie, anche influenti, che appartenessero alla fazione avversa nel medesimo Comune. Pertanto lotte intestine, accordi segreti, tradimenti e disordini spesso volutamente provocati, erano piuttosto frequenti, conferendo a tutto il contesto toscano del XIII secolo un assetto liquido, dai contorni sfumati. Potremmo dire che Farinata degli Uberti ne è la personificazione, che, da fiorentino, appoggiò Siena da ghibellino.

Inferno restituisce bene tale contesto, coprendo gli avvenimenti per l’intero arco temporale lungo cui l’intera vicenda si sviluppò, dal 1259 al 1261, e i giocatori vi si dovranno districare gestendo con cura la propria fazione, decidere su quali obiettivi concentrarne gli sforzi e quali caratteristiche conferire ai propri eserciti allo scopo di perseguirli con efficacia. Il sistema di gioco infatti si sviluppa proprio sull’ampio spettro di possibilità per comporre gli eserciti, ognuno con prerogative proprie, in modo che assolva al meglio un determinato compito nel quadro generale della strategia decisa dal giocatore. Ciò si realizza a partire dalla scelta dei nobili, tutti diversamente caratterizzati, che i giocatori decidono di turno in turno di far scendere in campo nei limiti del calendario di servizio definito dallo scenario. La scelta del comando si combina poi con quella delle unità, tra fanti, cavalieri e milizie fornite ai nobili dai loro vassalli e la caratterizzazione delle stesse attraverso l’assegnazione di particolari abilità o unità specializzate come balestrieri e arcieri, così da definire al meglio l’esercito in funzione del loro impiego operativo sul campo di battaglia. Infine la preparazione della campagna con un’accurata gestione della logistica e dei rapporti diplomatici, più o meno leali, tradimenti inclusi, completano il quadro di un gioco decisamente dotato di una grande variabilità e pregno di spunti interessanti, di sicuro richiamo!

Prima di passare al prossimo gioco, ringrazio Maurizio Amizzoni per la gentile collaborazione nella stesura di quanto avete appena letto su Inferno.

E ora chi ricorda Cry Havoc? Era il lontano 1981 quando questo tattico, ambientato in epoca medievale, allietava i tavoli di tanti appassionati. Era un gioco dalle atmosfere suggestive, in grazia di scenari fortemente evocativi, dove le vicende più disparate si materializzavano su quei caratteristici tabelloni dalla curiosa consistenza: dalle bagatelle fra paesani e milizia, alle nobili imprese di eroici cavalieri, risolte poi in scontri uomo contro uomo, molto curati nel dettaglio, ma senza appesantire il flusso di gioco. Il successo che riscosse si tradusse in un proliferarsi di espansioni e nuovi giochi basati su quel sistema, che costituirono poi una vera e propria serie nota come serie Cry Havoc. Ebbene, a distanza della bellezza di 41 anni, l’editore francese Historic’One di libri e giochi storici, non solo lo riporta in vita, ma ne conserva anche l’aura, riproponendone la medesima componentistica e financo il caratteristico formato delle scatole Eurogames dell’epoca.  Non a caso i loro giochi sono raccolti nella collana denominata appunto “Cry Havoc Fan”.

E proprio a questa collana appartiene Sherwood, il gioco che ripropone le epiche avventure di Robin Hood col sistema Cry Havoc. A Bracciano ci sarà un tavolo permeato dell’affascinante atmosfera retrò anni ’80, dove la foresta di Sherwood e i villaggi d’intorno saranno nuovamente il teatro di numerose avventure di Robin Hood e la sua banda di ladri, ancora una volta alle prese col terribile sceriffo di Nottingham e le sue guardie. Ci sarà da divertirsi…

Quest’anno poi in griglia spiccano tre giochi che definirei non convenzionali. Non sono wargames e l’esperienza di gioco che promettono origina dalla natura dei temi trattati e da come vengono sviluppati nel corso della partita. Tutti e tre sono frutto della medesima mente, quella di Cole Wehrle, autore geniale e decisamente non convenzionale.

Cominciamo da John Company seconda edizione, edito nel 2022 da Wherlegig games, fondata dallo stesso autore insieme col fratello. Si tratta di un gioco comunque storico che insieme a Infamous Traffic e Pax Pamir, compone quella produzione nella quale Cole Wehrle ha riversato le sue conoscenze storico-sociali acquisite durante la sua attività di ricerca universitaria.

John Company affronta temi inerenti alla genesi del colonialismo e della conseguente politica imperialista esercitata dalla potente Compagnia delle Indie Orientali, facendo emergere le gravi disfunzionalità e i meccanismi di perpetuazione ingenerati dalla salvaguardia delle personali rendite di posizione di coloro che la dirigevano. Già, perché nel gioco i giocatori assumono il ruolo di famiglie ambiziose che mirano al guadagno personale, non solo economico, ma anche e soprattutto di reputazione e di potere.

Siamo agli inizi del XVIII secolo, quando la Compagnia comincia a strutturarsi nel subcontinente indiano e le famiglie che la dirigono, cioè i giocatori, sono impegnate affinché s’imponga come la Società più potente del mondo. Ma attenzione. Persino in caso la Compagnia crollasse sotto il peso delle proprie ambizioni, il gioco prevedrebbe comunque un vincitore, aprendosi a qualunque strategia, anche la più bieca, che i giocatori volessero intraprendere per imporre la propria famiglia sulle altre.

Favorire i propri interessi è dunque il faro che guida le decisioni al tavolo, facendo sì che questi siano il più possibile sovrapponibili a quelli della Società. Ma non è per niente semplice e nessuna famiglia è in grado di riuscirci senza l’appoggio delle altre; anche perché qui, come nella realtà, l’alea ha un ruolo determinante ed è facile vedersi stravolti piani argutamente elaborati, dall’esplosione di un tumulto o da un disastroso evento meteorologico o anche da una legge ostile votata in parlamento. Dunque la negoziazione riveste un ruolo determinante, che conferisce pure un attributo narrativo, oltre che sostanziale, al corso delle partite.

La meccanica si dipana in varie fasi, ognuna perfettamente integrata nella successiva, così da dover essere gestita con molta attenzione. La conseguenza di una scelta poco attenta si ripercuoterebbe nei momenti successivi del turno. La gestione della società poi presenta gli aspetti tipici della conduzione di una grande realtà economico-finanziaria. Si va dalla verifica dello stato di salute di chi riveste ruoli cruciali nella Compagnia, all’eventualità di un loro pensionamento, con relativi costi di mantenimento; poi ogni ruolo eserciterà le proprie funzioni nel settore di propria competenza, partendo dal Presidente, per la gestione dei finanziamenti, passando per il Direttore del Commercio, seguito dal Responsabile per le Spedizioni e da quello degli Affari militari e avanti così sino ad attivare ogni ganglio della Compagnia.

Decidere in merito a nuove assunzioni; brigare per assegnare ruoli chiave a familiari, così da controllarli; combinare matrimoni d’interesse; aprire nuovi mercati o rischiare in costosissime operazioni militari per espandersi in nuove regioni, rappresentano solo alcune delle attività che si susseguono in una partita, ma le azioni e gli aspetti da tener presenti sono molteplici e tutti molto ben articolati fra loro.

Non è per niente un gioco semplice, ma l’esperienza che promette è decisamente immersiva e densa di implicazioni profonde riguardo ad una realtà, quale quella del colonialismo e dell’imperialismo, che si perpetua ancora oggi, con il potere concentrato in poche mani. Una realtà molto ben conosciuta da Wehrle, che l’ha indagata specializzandosi in Storia del XIX secolo, con una tesi incentrata sugli scritti di Sir Richard Francis Burton e Frantz Fanon, due personaggi che il colonialismo l’hanno vissuto sulla propria pelle.

Di fatto John Company accompagna i giocatori in una lucida quanto spietata analisi di quei meccanismi che a tutt’oggi regolano le economie mondiali, mettendone drammaticamente a nudo le scorie sociali che producono.

Il secondo gioco di Wehrle presente in griglia è Oath, edito nel 2021 da Leder games, che a differenza del precedente, non ha alcuna attinenza con la Storia, perché saranno i giocatori stessi a scriverla incidendo profondamente sulle condizioni di partenza delle partite successive. Ma chi ora pensasse ad un legacy, sbaglierebbe di grosso.

Anche qui ci si misura con temi dal netto sapore politico-sociale, dove in ogni partita va in scena la mai risolta lotta per il potere, combattuta con ogni mezzo pur di prevalere. Stavolta, però, il contesto nel quale ci si muove è del tutto fantastico, rappresentato con una grafica quasi fiabesca. Solo che a parte le illustrazioni, di fiabesco qui non c’è null’altro: ci troviamo difronte ad un concentrato di sottile perfidia…

Una terra antica, un mondo diviso in due: da una parte l’ordine costituito rappresentato dal Cancelliere; dall’altra gli Esuli, ossia coloro che tale ordine vogliono rovesciarlo, ma che hanno anche la facoltà di decidere di diventarne parte integrante, nella speranza di sostituirsi al Cancelliere. L’uno ha l’obiettivo di mantenere il Giuramento fatto al popolo, gli altri quello di succedergli al potere, in un modo o nell’altro.

Le azioni disponibili ad ogni turno, che si svolgono su una mappa minimalista divisa in tre settori, –  Fulcro, Province e Terre Selvagge – ricalcano in modo figurato le dinamiche di un wargame strategico. Sono infatti previsti piazzamenti, movimenti, reclutamenti, combattimenti, oltre che attività commerciali e di ricerca che forniscono un ampio ventaglio di strategie da mettere in gioco, per raggiungere i propri scopi. Tutto questo s’inserisce poi in una struttura narrativa che comunica la sensazione di fare la Storia giocando la partita, modellando con le proprie scelte questo mondo fatto di archetipi. Ogni scelta, ogni esito imprime una traccia, lascia un segno, plasma il contesto, che diverrà quello di partenza per le partite successive. Come dice l’autore: “Se un giocatore prende il controllo corteggiando l’anarchia e la sfiducia, i futuri giocatori dovranno fare i conti con una terra invasa da ladri e meschini signori della guerra. In un gioco successivo, un signore della guerra potrebbe tentare di fondare una dinastia, creando una linea di sovrani che potrebbe durare generazioni o essere schiacciata dall’ascesa di un terribile culto arcano.”

Non è un legacy, può essere ripristinato in qualsiasi momento e le partite possono essere giocate da gruppi diversi di giocatori, ognuno a scrivere un capitolo nel grande Libro delle Cronache di Oath.

La curiosità di vederlo girare è davvero tanta, senza contare le potenzialità che un gioco del genere offre ad un consesso partecipato e cadenzato come il nostro Raduno.

Veniamo ora al terzo gioco di Wehrle presente in griglia, con cui chiudiamo questa prima carrellata.
Si tratta del famosissimo Root. Finanziato tramite crowdfunding nel 2017 e pubblicato l’anno successivo da Leder Games, è stato il primo gioco di Cole Wehrle a marchio Leder.

Pur provenendo da esperienze importanti in qualità di sviluppatore e progettista di giochi (già nel 2015 e nel 2016 aveva pubblicato Pax Pamir, assieme a Phil Eklund, e An Infamous Traffic, citati all’inizio), è con Root che Wehrle arriva alla notorietà del grande pubblico di appassionati. Ciò a dire dell’impatto prorompente di questo gioco.

Le ragioni di tanto apprezzamento risiedono in una meccanica asimmetrica estremamente raffinata con la quale si affrontano situazioni dalla forte connotazione politica, argomento tanto caro a Wehrle, da esser diventato, come abbiamo visto, la sua cifra stilistica. Come nei due giochi appena descritti, anche qui ci si cimenta in una lotta per il potere, un po’ in salsa “Fattoria degli Animali” di Orwell.

Siamo in un grande bosco dominato dalla malvagia Marchesa de Cat, il cui unico scopo è raccoglierne le ricchezze. Le altre creature del bosco, per reagire ad un governo tanto oppressivo, si sono riunite in una grande Alleanza per sovvertire il dominio dei Gatti. Per il raggiungimento dello scopo, l’Alleanza può avvalersi dell’aiuto dei Vagabondi erranti, in grado di muoversi per i sentieri boschivi più pericolosi. Solo che anche questi vagabondi hanno i loro scopi, essendo i discendenti dei grandi rapaci che un tempo dominavano il bosco. Infine ai margini della regione vi sono i litigiosi Nido dell’Aquila, che dopo aver trovato un nuovo comandante, sono intenzionati a riprendersi il potere che ritengono spetti loro per diritto di nascita.

Dunque ci sono quattro fazioni, ognuna con regole e obiettivi differenti da quelli delle altre. I Gatti devono difendere lo status quo, cercando di costruire un sistema militare e logistico efficiente. Dovranno raccogliere legno, produrre officine, segherie e caserme. Vincono costruendo nuovi edifici e attivando nuovi mestieri

Il Nido dell’Aquila, per riconquistare i boschi, deve radunare i suoi falchi, conquistare più territorio possibile e costruire rifugi, prima di ricadere nel caos dei litigi

L’Alleanza deve agire nell’ombra, reclutando forze e ordendo cospirazioni.

Il Vagabondo presta i suoi servizi a tutte le parti in conflitto, ma lo fa per il proprio tornaconto, nascondendo una missione segreta.

Lo scopo per tutti è raggiungere per primi 30 punti vittoria, ma le peculiarità di ogni fazione differenziano in modo tanto sostanziale le rispettive condizioni di vittoria, come anche l’esecuzione di azioni quali il movimento, le battaglie e la produzione, da rendere differente l’esperienza di gioco a seconda della fazione giocata. Inoltre l’interazione diretta fra le fazioni e tra le fazioni e il contesto, fa sì che la partita vada condotta conoscendo bene le proprie prerogative, ma tenendo pure ben d’occhio come stanno agendo gli avversari.

Come dicevo, non possono dirsi wargames in senso pieno, ma alla fine non ne sono nemmeno così distanti…

Fast Movers ai Wargames Days a Piana delle Orme

Durante i “Wargames Days” dal 20 al 22 ottobre al tavolo di Fast Movers si sono alternati 3 piloti alla loro prima esperienza con questo sistema e un ‘veterano’ per il quale non era il suo primo rodeo, il ‘nostro’ Alberto…
Le partite dei nuovi piloti hanno utilizzato lo scenario introduttivo “Al largo di Tobruk” (F-14 US Navy vs Mig-23 libici ) concepito con lo scopo di accompagnare i nuovi piloti nell’esplorazione delle meccaniche del sistema durante il gioco.

Qui sotto, nella partita più combattuta, l’unico Mig libico che era “quasi” riuscito a scappare è stato danneggiato gravemente da uno Sparrow: la pressione dovuta alla velocità supersonica del Flogger ha dato il colpo di grazia all’aereo che si è frantumato in mille pezzi.

Poco dopo anche il suo gregario è caduto vittima di un AIM-9M (danno grave) e poi un secondo Sidewinder ha dato il colpo di grazia

L’ultima partita ha visto invece in scena una replica dell’Operazione Bolo che vedeva contrapposti alcuni F-4 a numerosi Mig (per l’occasione pilotati da bot), che hanno dato parecchio filo da torcere ad Alberto…

qui sotto il primo attacco con i cannoni di un bot ai danni del Phantom #1 (danno lieve):

il Phantom danneggiato ha però inquadrato l’altro Mig, danneggiandolo gravemente con uno Sparrow…partita poi sospesa per mancanza di tempo ma con un esito pesantemente ipotecato dagli F-4

Tutti i piloti si sono divertiti a giocare a Fast-Movers e nei debriefing a fine partita (durante i quali viene chiesto il parere dei giocatori su tutto quello che secondo loro potrebbe essere migliorato) gli unici suggerimenti evidenziati sono stati riguardo ad alcuni aspetti grafici/cromatici.

Quindi un’altra “missione compiuta” per Fast-Movers: giocatori soddisfatti e sistema di gioco che ‘gira’ bene!!!!

Prossimo appuntamento con Fast-Movers nei giorni 24-26 novembre al De Bello Ludico a Bracciano!!!!